Burkina Faso: Colpo di stato e la crisi di #Djibo

Provincia dello Soum, Burkina Faso [0]

Nelle ultime settimane, il colpo di stato in Burkina Faso consumatosi tra venerdì 30 settembre e domenica 02 ottobre ha catturato l’attenzione delle principali testate del globo. Si tratta difatti del secondo colpo di stato in otto mesi - il terzo includendo un tentativo fallito a inizio anno – che si iscrive in una più ampia dinamica di instabilità politica e transizione militare nel Sahel, dovuta, in gran parte, alla crescente insicurezza regionale. La presenza di gruppi armati non-statali, attivi in Burkina Faso dal 2015, si è sommata a sfide preesistenti quali gli alti livelli di povertà della popolazione, la mancanza di opportunità per i giovani ed il progressivo degradarsi del suolo a causa anche dei cambiamenti climatici, portando ad un notevole deterioramento della situazione. Ad oggi, il numero degli sfollati interni nel paese supera gli 1.5 milioni di individui[1] e, secondo le stime della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (CEDEAO), oltre 40% del territorio nazionale è fuori dal controllo dello Stato[2]. Incapace di offrire una risposta efficace a questa situazione complessa, il governo di Roch Marc Christian Kaboré è stato deposto dai militari nel gennaio 2022 e rimpiazzato, prima dal Luogotenente colonnello Paul-Henri Sandaogo Damiba, ora dal Capitano Ibrahim Traoré. Entrambi gli uomini forti hanno promesso alla nazione, durante le rispettive prese di potere, di combattere il terrorismo, riconquistare l’integralità del territorio nazionale e garantire la sicurezza di tutti i cittadini.

Se quello della sicurezza è il primo e principale punto dell’agenda del nuovo uomo forte burkinabé, la scintilla scatenante di questo secondo colpo di stato si è rivelato essere l’attacco di lunedì 26 settembre ad un convoglio di 150 camion, carichi di derrate alimentari e rifornimenti sotto scorta militare, diretto verso la città di Djibo, nella regione del Sahel. L’attacco terroristico, avvenuto nella località di Gaskindé, a una ventina di chilometri da Djibo, costituisce l’ennesima ferita inflitta alla popolazione della città saheliana, che vive ormai da febbraio sotto il blocco di gruppi armati terroristici. 27 i morti tra i militari, e tra i cinquanta ed i cento il bilancio delle vittime civili. Senza rifornimenti, la popolazione della città si è trovata a dover ben presto fare i conti con l’esaurimento delle scorte di cibo, acqua, carburante, medicine ed altri beni di prima necessità; già lunedì 03 ottobre giungevano le notizie dei primi otto bambini morti di fame nelle strade di Djibo[3]. L’hashtag #Djibo ha rapidamente cominciato a circolare sui Social Media, trasmettendo la richiesta di inviare rifornimenti tramite un ponte aereo tra la capitale burkinabé e la città saheliana. Il primo carico di rifornimenti organizzato dai militari è giunto a Djibo martedì 04 ottobre[4], il giorno dopo quello organizzato dalle Nazioni Unite[5]. Tali azioni hanno permesso di portare un primo sollievo alla popolazione di Djibo in situazione di estrema necessità, ma i bisogni rimangono altissimi. Secondo la Coordinatrice Residente delle Nazioni Unite in Burkina Faso Barbara Manzi, “i rifornimenti per via aerea rimangono insufficienti per rispondere ai bisogni di oltre 300.000 persone; è essenziale aprire una via terreste sicura”[6].

 

                                           

Il quadro di Djibo è particolarmente complesso. Negli ultimi tre anni la popolazione di Djibo è cresciuta da circa 30.000 persone nel 2019 a oltre 300.000 oggi - 360.000 secondo alcune stime[7]. L’aumento esponenziale della popolazione è dovuto soprattutto all’afflusso di sfollati interni e di rifugiati provenienti dal Mali e dal Niger. La regione burkinabé del Sahel costituisce, insieme alle zone di confine del Mali e del Niger, la regione transfrontaliera del Liptako Gourma, uno degli epicentri della crisi umanitaria e migratoria in Africa. L’incrementata pressione sulle risorse a disposizione, già limitate, ha subito un’ulteriore scossa all’inizio del 2022. Da circa sette mesi, l’accesso alla città è bloccato e le vie di Djibo sono infiltrate dai gruppi armati. Ne sono derivati pesanti ritardi e limitazioni per quanto riguarda l’offerta e l’accesso ai servizi ed il mercato di beni di prima necessità (cibo, acqua, medicine, carburante). Oltre 354.000 persone nella provincia dello Soum vivono senza accesso all’acqua[8]. Le infrastrutture di approvvigionamento della città si sono trovate a più riprese sotto attacco e le comunicazioni telefoniche sono state bloccate vari mesi fa, costringendo gli abitanti e gli operatori umanitari a utilizzare sistemi alternativi. L’attacco di Gaskindé, che ha messo a rischio immediato la vita di migliaia di persone vulnerabili a Djibo (bambini, donne incinta, donne allattanti, malati), ha posto al centro dell’opinione pubblica l’urgenza di trovare una soluzione alle gravissime condizioni di vita in cui si trova la popolazione di Djibo da più mesi.

La comunità umanitaria, composta dal sistema delle Nazioni Unite, dalle ONG internazionali, e dalle diverse espressioni della società civile locale, è attiva su questo fronte da più anni. Con l’aggravarsi della situazione, l’azione degli operatori umanitari si è consolidata ed ha raggiunto un notevole livello di coordinamento, interno ed esterno, che ha permesso di ottimizzare l’efficacia degli aiuti e l’accettazione degli interventi da parte della realtà locali - un mosaico complesso e sfaccettato.

Uno dei principali attori della Cooperazione italiana attivi sul fronte di Djibo è l’ONG WeWorld-GVC, che fornisce - in coordinamento con il WFP - servizi di cash assistance e electronic voucher che permettono alla popolazione di Djibo di acquistare beni di prima necessità. In parallelo, l’ONG svolge alcune attività di resilienza, principalmente Cash4Work e la realizzazione di orti urbani, con l’obiettivo di fornire un complemento ai fabbisogni alimentari della popolazione in difficoltà. Dal 2021, circa 31.000 sfollati accolti a Djibo hanno ricevuto assistenza alimentare da parte di WeWorld-GVC e circa 1.000 nuclei familiari hanno partecipato ai programmi di resilienza.

 

“La nostra metodologia si basa sullo e-voucher, che ci permette di collaborare direttamente con i commercianti locali, i quali, su base volontaria, decidono di sottoscrivere con noi un contratto con cui entrano a far parte del nostro progetto. È un meccanismo che ha un impatto positivo sia sui beneficiari che sul mercato di Djibo. […] L’assalto al convoglio a Gaskindè ha messo in ginocchio i mercati a Djibo, che hanno esaurito i loro stock e di conseguenza la popolazione non ha più nulla da acquistare” - Boureima Ramde, capo base presso l’ufficio di WeWorld-GVC a Djibo.

 

“Al momento non ci sono viveri in città, la nostra unica ancora di salvezza sono i convogli, che non arrivano più” racconta Azèta Zorome, sfollata interna proveniente da Kelbo. “Dal 2020 beneficio esclusivamente dell’assistenza alimentare di WeWorld-GVC, dopo l’arresto forzato delle loro attività siamo obbligati a recarci ogni mattina nella macchia per raccogliere delle foglie (dette sougouda) per nutrire i nostri bambini, esponendoci ai rischi di rapimento e violenza. La nostra unica speranza risiede nei rifornimenti che da due anni ci arrivano grazie a WeWorld-GVC e speriamo che presto arrivi un convoglio che permetta loro di riprendere le attività”.

Secondo Francesco Dal Pra, Rappresentante Paese di WeWorld GVC, “il quadro operativo a Djibo è estremamente complesso. L’accesso alla città e i meccanismi di approvvigionamento sono limitati; il sistema sociale di gestione della crisi è diviso e ramificato e comporta un notevole livello di coordinamento con tutti gli attori implicati e, infine, l’enorme insicurezza, fuori e dentro Djibo, crea un timore generale sia legato alla sicurezza individuale, sia alle aspettative legate a possibili soluzioni alla crisi generale. Nonostante ciò, la comunitaria umanitaria rimane determinata nel proseguire il proprio mandato e lavorare in stretto coordinamento per identificare gap e intervenire dove serve. Per quanto riguarda WeWorld-GVC, il nostro approccio consiste nel fornire assistenza alimentare e stimolare soluzioni a livello familiare che possano permettere alle famiglie di sovvenire ai bisogni più impellenti e, attraverso gli interventi di resilienza, sostenere un percorso di autonomia che porti le persone coinvolte a essere attori protagonisti, e non ricettori di aiuti, al fine di soddisfare i loro bisogni”.

 

L’azione di GVC costituisce – nelle parole del Direttore regionale di AICS Ouagadougou Domenico Bruzzone – “un chiaro esempio dell’efficacia, della rapidità e della concretezza degli aiuti italiani in contesti di emergenza, tra cui la zona delle tre frontiere rappresenta certamente una delle istanze più preoccupanti. Nel corso degli ultimi due anni abbiamo avuto modo di finanziare numerose iniziative del Programma Alimentare Mondiale in Burkina Faso, per un totale di €6.500.000, e di contribuire così a rispondere ai bisogni più urgenti di circa 235.000 persone. Il quadro della situazione non fa che aggravarsi, ma rimaniamo fiduciosi che attraverso uno sforzo comune ed un coordinamento ottimale tra forze governative, attori umanitari e della società civile, e la cooperazione internazionale, possiamo contribuire a identificare soluzioni che soddisfino bisogni immediati, ma andando aldilà della prima emergenza, che permettano alle persone affette da questa crisi atroce e senza precedenti in questa parte del mondo di costruire le basi per immaginare un futuro, di convivenza e pace. Un futuro che qui appare ogni giorno più lontano; e allora, mai come in questo tempo, e in questo posto, vale la riflessione di Ortega y Gasset: ‘abbiamo solo la nostra storia ed essa non ci appartiene’.”

Pierpaolo Crivellaro

                    


WeWorld GVC è uno degli attori della Cooperazione italiana attivi in Burkina Faso, partner di WFP e membro del Coordinamento delle OSC Italiane in Burkina Faso (COIB). AICS Ouagadougou interviene nella regione del Sahel da più anni attraverso vari programmi a sostegno del WFP, tra cui “assistenza nutrizionale alle popolazioni vulnerabili delle regioni di Sahel e Centro Nord in Burkina Faso – AID 12060” e “l’intervento di “assistenza umanitaria e di recovery  delle popolazioni sfollate e delle famiglie ospitanti in Burkina Faso – AID 12230”, ed il programma bilaterale a beneficio del Ministero dell’Agricoltura, delle Risorse Animali e Alieutiche “Rafforzamento della Resilienza delle Popolazioni a fronte dell’Insicurezza Alimentare nelle regioni del Centro-Nord e del Sahel – AID 11005”.

Programma Agrinovia, alta formazione per lo sviluppo e l’innovazione rurale

Agrinovia è un programma di formazione universitaria e professionale il cui obiettivo è costruire nuove competenze a sostegno dell'innovazione rurale in Burkina Faso e in Africa, contribuendo a migliorare l’impatto delle azioni di sviluppo sostenibile in ambito rurale, in linea con l’Agenda 2030. Coordinato dall’Università di Ouagadougou, in collaborazione con il Dipartimento di Economia dell’Università degli Studi di Roma Tre e con un network di partner africani ed europei, Agrinovia forma agenti di sviluppo capaci di identificare, co-validare e diffondere le innovazioni contadine in ambito tecnico, sociale ed economico, innescando dinamiche di riduzione della povertà e di sviluppo rurale sostenibile e partecipato.

Agrinovia nasce nel 2009 come progetto di formazione pilota finanziato dal Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (IFAD), rispondendo alla necessità, emersa dal lavoro sul campo con le comunità locali, di ripensare la tradizionale figura dell’agente di sviluppo, spesso impegnato esclusivamente nel trasferimento verticale di saperi, tecnologie e modelli produttivi “importati” dall’esterno, con risultati discutibili in termini di efficacia e sostenibilità. La nuova generazione di operatori che Agrinovia inizia a formare, lavora invece alla creazione di un proficuo scambio tra saperi contadini e saperi formali, facilitando l’incontro tra sistemi di conoscenze, a partire dalle potenzialità innovatrici delle comunità rurali.

Nel 2010, grazie al sostegno della Cooperazione italiana che permette un coinvolgimento sempre più attivo dell’Università Roma Tre, il programma pilota Agrinovia diviene un vero e proprio Master di II livello erogato dalla Facoltà di Scienze Umane dell’Università Joseph Ki-Zerbo di Ouagadougou, con l’ambizione di creare un polo formativo di eccellenza e di respiro internazionale in Africa. Il Master “Agrinovia: apprendere ad innovare in partenariato”, coordinato dal Prof. Jacques Nanema, propone una formazione pluridisciplinare, che integra le diverse competenze necessarie a gestire la complessità del processo di emersione e co-validazione delle innovazioni locali. Particolare attenzione è dedicata alla formazione di capacità di gestione, accompagnamento e messa in rete dei partenariati di agenti che, a vari livelli, intervengono nel processo d’innovazione.

Il corpo docente, formato da professori e ricercatori di università africane ed europee, è arricchito dagli interventi di formatori ed esperti di terreno (staff di progetti multilaterali, ONG, organizzazioni contadine) e dalla presentazione di casi studio e visite sul campo, così da garantire un feedback continuo tra teoria e pratica dello sviluppo rurale. Il contributo dell’Università Roma Tre, coordinato dal Prof. Pasquale De Muro, è quello di apportare alla formazione Agrinovia una comprovata esperienza su tematiche come l’analisi socioeconomica delle situazioni di povertà rurale, la promozione dello sviluppo umano e della sicurezza alimentare, e la valutazione d’impatto dei progetti.

Il Master, della durata complessiva di 9 mesi (ottobre-luglio), prevede una fase intensiva in aula della durata di circa tre mesi e un lavoro sul campo della durata di quattro mesi, presso Ong, progetti o associazioni contadine. La tesi di ricerca è poi discussa davanti a una giuria mista (professionisti e accademici) a conclusione del percorso formativo.

Dalla prima fase pilota del 2009 fino all'anno accademico 2016-17, sono stati formati più di 120 studenti provenienti da Burkina Faso, Benin, Togo, Repubblica Democratica del Congo, Niger, Chad, RCA, Camerun, Madagascar, Italia, Belgio e Svizzera, molti dei quali oggi lavorano con successo per agenzie governative, organizzazioni internazionali e Ong. Il numero medio di partecipanti per ogni edizione è di 20 studenti. Dal 2014, l’offerta formativa Agrinovia si arricchisce ulteriormente con l’erogazione di corsi di formazione breve “on demand” (Agrinovia Pro), destinati al personale dei progetti e della durata media di due settimane intensive, che condividono con il Master l’assetto pedagogico e il forte legame con il terreno. Agrinovia, inoltre, organizza seminari e incontri sui temi cruciali dello sviluppo rurale in Africa, coordinando un network internazionale di università ed esperti e animando una piattaforma di scambio e condivisione di buone pratiche e competenze.

Il 2017 segna l’avvio del terzo progetto Agrinovia sostenuto da AICS e realizzato da Roma Tre. Dopo due progetti annuali che hanno investito nella definizione dell’offerta didattica, nelle strutture fisiche e nella strumentazione, nell’erogazione di borse di studio e nella promozione della formazione, il nuovo intervento “Agrinovia 3.0: apprendere ad innovare per promuovere lo sviluppo rurale sostenibile” avrà durata triennale (2017-2020). Obiettivi del nuovo progetto sono l’aggiornamento del curriculum del Master, il miglioramento della qualità delle tesi di ricerca, la pubblicazione di working papers, il rafforzamento della rete francofona dei partner e la progettazione di una formazione pilota in lingua inglese, l’evoluzione del sito web in una piattaforma comunicativa più avanzata.

L’esperienza di Agrinovia 3.0 sarà raccontata nel lungometraggio “I diari dell’innovazione” realizzato dal Centro Produzione Audiovisivi del Dipartimento Filosofia, Comunicazione e Spettacolo di Roma Tre.

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“Bridging the gap”, un ponte europeo per una società più inclusiva della disabilità

Lancio ufficiale del progetto Bridging the Gap/Combler l’Écart

Ouagadougou - Il 22 febbraio 2018

La sede AICS nella capitale del Burkina Faso ha organizzato il lancio ufficiale del progetto Bridging the Gap/Combler l’Écart, iniziativa finanziata dall’Unione Europea e coordinata dalla fondazione spagnola FIAPP che punta a promuovere l'inclusione sociale della disabilità in cinque Paesi partner. L’Agenzia partecipa al cofinanziamento e interviene con azioni specifiche in Burkina Faso e Sudan.

Il lancio del progetto ha visto la partecipazione di oltre un centinaio di attori attivi nel settore della disabilità e dell’inclusione sociale. Tra le autorità che hanno espresso un sostegno all'iniziativa, il segretario di stato del Ministero senegalese della Donna, M.me Yvette Dembélé.

Nel corso dell’evento sono state presentate le linee generali del progetto ed è stato rinnovato l’impegno da parte delle autorità e dei partner locali alla realizzazione delle attività.

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Lancio ufficiale del progetto Bridging the Gap/Combler l’Écart

 

 

Il grande schermo di CinemArena in 18 villaggi del sud-est del Paese

Ouagadougou - Il 30 marzo scorso si è conclusa la terza campagna di CinemArena in Burkina Faso. L'iniziativa di sensibilizzazione itinerante è stata dedicata ai rischi e ai pericoli correlati alle migrazioni irregolari e alle possibili alternative.

La zona d'intervento della carovana è stata la “Région du Centre-Est”, dove ha toccato 18 villaggi rurali raggiungendo un pubblico di oltre 10mila persone. La partecipazione è stata ampia, non solo alle proiezioni dei film, ma anche alle fasi del dibattito che hanno seguito i video e gli sketch girati insieme ai giovani del villaggio durante la giornata.

In ogni tappa del suo percorso, anche questa edizione della campagna ha creato momenti di riflessione e di aggregazione sociale che sono stati molto apprezzati dalle comunità invitate a radunarsi davanti al grande schermo del camion di CinemArena.

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